FuoriLuogo: Il giorno della festa del Timpone

FuoriLuogo: Il giorno della festa del Timpone

Alle dieci del mattino il sole non si insinua ancora tra i vicoletti più interni dell’antico rione, ma già investe di luce le aree verdi che lo incorniciano. Con Gianni e Francesco ci incontriamo di fronte Palazzo Lanzo. Hanno scarpe da ginnastica e tuta da lavoro, ma le mani in tasca e le spalle basse rivelano tranquillità. Non c’è fretta. D’istinto passeggiamo verso la Pedichiusa, ci fermiamo sul muretto che costeggia il torrente. Il calore della giornata ci arriva diretto. Mentre osserviamo il parco fluviale in costruzione e proviamo a immaginarlo finito, Giovanna e Francesco accostano la macchina a due passi da noi e ci mostrano nel cofano una grande pentola di fagioli con la ‘nduja già cucinati per la festa della sera. Rimango impressionato dal fervore e dalla facilità con cui gli abitanti del quartiere riescono rapidamente ad organizzare tutto.

Francesco già si concentra sui fari da installare nei giardini del Timpone, con tutta l’aria di avere le idee chiare, mentre Giovanna sembra intercettare i miei pensieri quando comincia a dirmi dei tempi in cui trascorreva intere giornate a giocare lungo il fiume. In mezzo agli orti e all’erba alta c’era un sentiero per scendere che ogni anno, a primavera, i bambini riaprivano di nuovo con il loro passaggio. I granchi spuntavano da tutte le parti ticchettando sulle rocce. Spazzatura ce n’era poca e quel poco che faceva capolino sul fiume diventava immediatamente gioco: i bambini raccoglievano tutto quello che trovavano e improvvisavano bancarelle con soldi disegnati.

Come se fosse scoccata l’ora, ci dirigiamo verso la sede di Santa Lucia, su vico Conciapelle. Il Timpone è di fronte a noi, sull’altra sponda del torrente Canne. Le case torreggiano sulla parte sommitale della collinetta ripida (timpa) che dà il nome al quartiere; in basso si distendono su due livelli i giardini Lanzo. La pulizia fatta dai ragazzi di Ciarapanì (Claudio, Damiano, Gianfranco e Kevin) lascia intravedere già le dimensioni della parte bassa. È ancora avvolta dalla vegetazione fitta che nasconde persino il corso d’acqua, ma mi fa pensare ad una grande zattera di terra ormeggiata lungo il fiume.

Gli altri arrivano alla spicciolata. Vedo comparire teglie di sugo e bottiglie di vino e in un attimo un gruppo di donne comincia a pelare patate. Gli uomini montano le bombole e i bruciatori per il pomeriggio. Tutto procede con una tale spontaneità che mi sento tanto partecipe quanto superfluo. Dall’alto arriva Roberto e dal basso Achille di FuoriLuogo, e contemporaneamente compaiono un altro Roberto e Rosanna, animatori del gruppo di Santa Lucia insieme a Gianni e Francesco. Ci mettiamo anche noi all’opera. Raccogliamo un po’ di legna per il fuoco di bivacco e la trasportiamo al giardino superiore che fiancheggia la chiesa di Sant’Agazio. Roberto e Gianni tagliano i pezzi grossi con una motosega che va avanti a piccoli starnuti e intanto tutti lanciano pronostici sul tempo. Il più ottimista è Gianni, convinto che la pioggia non sarebbe arrivata prima della conclusione della festa: fortuna o poteri divinatori, aveva perfettamente ragione.

Mentre fantastichiamo sulle mille possibilità del luogo, sulle poche cose già fatte e su quelle che sarà possibile realizzare, scorgiamo una vecchia sedia incomprensibilmente gettata fra le sterpaglie, in mezzo ad altri rifiuti ingombranti – cucine a gas e bombole – di cui qualcuno si è voluto rapidamente sbarazzare col favore dei rovi, che avvolgono tutto, e dello stato generale di incuria ed abbandono. Vediamo anche dell’eternit: dobbiamo subito attivarne lo smaltimento e impedire intanto ai bambini di accedere prima che il posto sia bonificato. Pensiamo che tutto il resto non possiamo rimuoverlo con le nostre mani e senza mezzi, non ancora, ma quella sedia sì. La mettiamo al centro della zona già sfrondata, come un trono bislacco e incerto senza seduta che simboleggia la rigenerazione urbana che portiamo avanti, fatta di pulizia e riciclo, e annuncia la futura socialità che invaderà i giardini.

L’entusiasmo intorno monta insieme all’operosità. Le voci si inseguono nell’aria. Tra le due sponde, per comunicare dall’una all’altra parte ci si porta la mano aperta di fianco alla bocca e si grida. Il suono placido e costante dell’acqua attenua e addolcisce l’effetto. Nonostante la frenesia, non c’è rumore. Ci rendiamo conto che siamo in una vera e propria piazza attraversata da un torrente, come nei vecchi fori romani tagliati in due dall’acquedotto.

Il nostro interesse per il torrente non sfugge a Roberto, Rosanna e Gianni che decidono di condurci alla <em>funtana d’i priaviti</em> (fontana dei preti), acqua sorgiva incanalata, dove un tempo gli abitanti di Santa Lucia e del Timpone andavano a bere e a lavare i panni. Il sentiero, non proprio praticabile, parte proprio dai giardini Lanzo. Lungo il tragitto, tra i rampicanti, scorgiamo le piastrelle di ceramica lavorate anni fa dai bambini della scuola Don Milani, che nel tempo ha fatto della scoperta del territorio un metodo ed un valore educativi. La colonna sonora è quella delle cascatelle. Decidiamo che quel piccolo percorso può essere riaperto e valorizzato: nasconde un patrimonio naturalistico in pieno centro storico. Qualche rifiuto mangiato dalle piante segnala l’urgenza del nostro proposito.

Un vortice di attività e di impressioni cangianti scandisce l’avvicinamento alla festa. La rivitalizzazione che FuoriLuogo vuole stimolare è già tutta visibile nello sforzo comune. Le signore ai fornelli sono una squadra perfettamente funzionante e oliata che sforna grispelle e patate e peperoni. Doriana porta in giro un piatto e offre un assaggio della cena della sera che fa levare in aria mormorii di approvazione a bocca piena. Un cerchio di persone si occupa di intaccare le castagne per le <em>ruselle</em> da fare sulla brace, tra cui Claudia con la cuffia in testa; qualcun altro va a prendere il vino, rigorosamente locale. Giulia e Giovanna armeggiano con i colori. Le sfumature delle case e degli alberi si accendono al tramonto, prima di spegnersi la sera.

È l’ora del fuoco: il giardino si riempie di bambini che corrono da una parte all’altra, di adolescenti curiosi, nuovi animatori e residenti; la festa sembra possa farla solo la luce del falò. Gli anziani osservano dai margini e sembrano approvare, tutti gli altri ci raduniamo in cerchio: ognuno grida il proprio nome per gridare la propria presenza e lo fa con forza e un pizzico di follia, come per rivendicare un ruolo, una parte nel gruppo tutto nuovo che si sta formando dall’incontro di FuoriLuogo e Santa Lucia, che convergono verso un obiettivo. Tutti gli altri lo ripetono sancendo l’accoglienza. Il coro è formato. Achille lo guida e recitiamo tutti insieme:

<em>Che senso ha,
se tu
solo
ti salvi!?
Voglio
salvezza per tutta la terra priva d’amore,
per tutta
la folla umana</em>

<em>(Wladimir Majakovskij)</em>

Subito dopo, un’altra poesia (<em>Aneddoto di uomini a migliaia, </em>di Wallace Stevens) ci suggerisce che l’anima è fatta dal mondo esterno. Gli uomini sono le province che abitano, <em>le loro voci sono come i suoni naturali dei loro luoghi</em>, proprio <em>come la voce dei tucani nel luogo dei tucani</em>, e gli abiti che indossano, i gesti che compiono, i colori che scelgono nel posto in cui vivono <em>sono elementi invisibili di quello stesso luogo resi visibili</em>. Ci chiediamo allora noi cosa vogliamo rendere visibile e vivibile del Timpone e di Santa Lucia.

Ognuno esprime il suo desiderio gettando un legnetto nel fuoco: si parla di giochi, spazi verdi, storia, porte aperte, fiducia, divertimento, lentezza, rumore d’acqua, capacità di incontrarsi. Giulia chiude la fila manifestando il desiderio che si viva di più all’aperto e rivendicando un’autenticità sempre più radicata a dispetto di questi tempi virtuali. Per cercare insieme altre risposte e cominciare a renderle concrete ci diamo fin da subito appuntamento a giovedì alle 16:30 per il primo degli appuntamenti di FuoriLuogo. La festa vera e propria può avere inizio.

Anche Don Vittorio a fine serata getta il suo legnetto nel fuoco. Intona “Buonasera Antoniuzza” e, ricostruendo la storia dei giardini che ci ospitano, ci lascia un messaggio semplice e fondamentale:

<em>Le cose belle vengono quando ci sono persone sveglie e intelligenti. Tutti quanti possiamo esserlo. Se l’umanità vuole migliorare, invece di affidarsi a qualcuno di potente, ognuno deve diventare questa persona sveglia ed essere una persona responsabile, anche per poter continuare ciò che gli altri hanno cominciato. Il frutto più bello dell’incontro tra FuoriLuogo e Santa Lucia consiste proprio nel fatto che reciprocamente stiamo acquisendo questa consapevolezza.</em>

 

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